Perché Mani Unite
Quelimane (Mozambico), 1987
Perché Mani Unite
Era il 1986 quando il nostro fondatore, Veziano Armandi, in occasione di una visita in Mozambico a quel tempo sconvolto dalla guerra civile, rimasto colpito dalla dura situazione di quel Paese, si rese conto che per mitigare gli effetti dell’estrema povertà in cui viveva la popolazione e in particolare i bambini, non erano necessari i grandi progetti di organizzazioni umanitarie internazionali i cui costi gestionali spesso superavano quelli degli aiuti, ma piuttosto azioni più modeste, ma concrete, in grado di garantire istruzione, nutrizione e sostegno sanitario.
Lascia senza troppe nostalgie le passeggiate domenicali, le ferie in montagna e le serate davanti alla televisione per scegliere, con determinazione, il rischio della malaria, delle malattie tropicali, i dolori e la povertà di una terra martoriata per stare al fianco di coloro che, un giorno dopo l’altro, inventavano la propria vita per assicurarsi un minimo di sopravvivenza, e decide di creare un’organizzazione per coordinare i primi aiuti destinati alle missioni cattoliche.
Nei successivi 20 anni, l’organizzazione creata da Veziano con l'aiuto dei due fratelli, darà un importante contributo per la riconciliazione sociale e la ricostruzione del Mozambico dopo la fine del conflitto. Decine di migliaia di bambini hanno avuto un sostegno nel settore dell’istruzione e della nutrizione. Nuovi edifici scolastici hanno accolto alunni sino ad allora costretti a seguire le lezioni sotto un albero, decine di villaggi hanno avuto finalmente acqua pulita e sicura mentre migliaia di giovani sono divenuti falegnami, carpentieri e sarti, affrancandosi dalla povertà e diventando protagonisti del proprio sviluppo.
Veziano nel 2007, decidendo di stabilirsi in Mozambico, fonda Mani Unite, una realtà composta prevalentemente da africani, continuando le attività di sviluppo al fianco degli ultimi. “Il nostro lavoro in Africa prosegue perché vi sono altri drammi da affrontare: nuove malattie, nuove povertà materiali e morali, le migrazioni, i cambiamenti climatici, i conflitti. Il nostro è un piccolo contributo che, sommato a quello delle tante organizzazioni umanitarie che lavorano per il bene dell’Africa, darà un giorno i suoi frutti. Non dimentichiamo le parole di Daniele Comboni: salvare l’Africa con l’Africa”.