Un dilemma per i governi dei PVS e per miliardi di persone: la crisi che frena il futuro dei Paesi Emergenti
- Mani Unite

- 2 set
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 16 ott
Immaginate di avere una coperta troppo corta in una notte gelida. Se la tirate su per coprire le spalle, i piedi restano scoperti. Se coprite i piedi, il petto gela. Questa metafora descrive perfettamente la scelta drammatica che miliardi di persone, attraverso i loro governi, si trovano ad affrontare oggi. Intere nazioni si trovano ad un bivio: usare le poche risorse disponibili per pagare i debiti accumulati con i creditori esteri o investire in servizi essenziali come la sanità, l'istruzione e le azioni per il clima, ovvero nel proprio futuro?

Questa non è una crisi finanziaria come le altre. È un dilemma che frena lo sviluppo globale e ipoteca il benessere delle generazioni a venire. Le cause sono complesse e le conseguenze più profonde e interconnesse di quanto si possa immaginare. Questo articolo esplora quattro delle verità più scomode e impattanti emerse da un'analisi di questa crisi silenziosa, per capire cosa sta realmente accadendo e quali vie d'uscita sono possibili.
Una scelta drammatica
Il cuore del problema non è solo una mancanza di fondi, ma il dilemma insostenibile che questa scarsità crea. Miliardi di persone vivono in paesi i cui governi sono costretti a scegliere tra onorare gli impegni finanziari con i creditori internazionali e garantire ai propri cittadini diritti fondamentali. Non si tratta di un calcolo astratto su un foglio di bilancio, ma di una decisione con costi umani immediati e devastanti.
Tagliare oggi le spese per l'istruzione significa avere meno competenze, meno innovazione e meno crescita domani. Ridurre gli investimenti nella sanità significa maggiore vulnerabilità alle malattie e minore produttività in futuro. Ogni dollaro dirottato dal welfare al servizio del debito è una scelta che può ipotecare lo sviluppo di un paese per decenni, bloccando quella che gli economisti chiamano la "formazione del capitale umano" e impedendo alle persone di migliorare la propria condizione.
Intere nazioni si trovano davanti a questa scelta. Pagare i debiti accumulati o investire in salute, istruzione, clima, insomma nel proprio futuro?
Le tre cause
La crisi attuale non deriva da un singolo fattore, ma dalla convergenza di tre forze potenti che insieme creano una "tempesta perfetta" finanziaria.
Primo, il debito crescente: il costo per ripagare prestiti e interessi (il cosiddetto "servizio del debito") è esploso. Negli ultimi anni, i paesi a basso e medio reddito hanno speso trilioni di dollari solo per questa voce. La cifra relativa al solo 2023 è impressionante: 921 miliardi di dollari (fonte Unesco), un fardello che pesa sulle spalle di circa 3,4 miliardi di persone. Il recente aumento globale dei tassi di interesse ha agito come un vero e proprio "cappio finanziario", rendendo enormemente più costoso contrarre nuovi prestiti o rinnovare quelli esistenti.
Secondo, il crollo degli aiuti proprio quando sarebbe più necessario. L'aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) — i fondi che i paesi ricchi destinano ai più poveri — sta vivendo un crollo drammatico. I dati preliminari per il 2024 indicano addirittura il calo più forte mai registrato che significano, ad esempio, minori aiuti all'Ucraina rispetto ai picchi iniziali e minori costi per l'accoglienza dei rifugiati nei paesi donatori. Questa contrazione riduce drasticamente quello che gli esperti chiamano lo "spazio fiscale" dei governi, ovvero la loro capacità di manovra finanziaria. È come "togliere una stampella a chi già fatica a camminare", lasciando i paesi più vulnerabili con meno risorse e spingendoli a indebitarsi ulteriormente.
Terzo, la crisi dell'ONU: il punto forse più sorprendente è che persino le Nazioni Unite stanno affrontando una grave crisi di liquidità interna, tanto da far temere tagli al personale. Questa difficoltà riduce drasticamente la capacità dell'ONU di fornire assistenza tecnica, coordinare gli aiuti e realizzare programmi sul campo. Si crea così un "corto circuito" nel sistema di cooperazione internazionale, indebolendo uno degli attori chiave proprio nel momento del massimo bisogno. La crisi non è statica ma si aggrava attraverso cicli distruttivi che si autoalimentano.
La mancanza di fondi, infatti, colpisce duramente settori vitali come la sicurezza alimentare ed energetica, rendendo impossibile raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Il cambiamento climatico offre un esempio lampante di questa dinamica. La stretta finanziaria impedisce ai paesi di investire in misure vitali di adattamento, come la costruzione di difese contro le inondazioni o sistemi di irrigazione più efficienti.
Questa mancanza di preparazione li rende più vulnerabili ai disastri naturali. Dopo un disastro, i costi della ricostruzione costringono questi paesi a indebitarsi ulteriormente per far fronte all'emergenza, aggravando la crisi finanziaria iniziale. In sintesi, la vulnerabilità climatica aggrava la crisi finanziaria e, viceversa, la crisi finanziaria impedisce di ridurre la vulnerabilità climatica. Lo stesso schema si applica all'instabilità sociale: la crisi economica genera povertà e malcontento, che possono sfociare in tensioni politiche e conflitti, le cui conseguenze, come i flussi migratori, diventano un problema per l'intera comunità globale.

Serve un cambio di sistema
L'analisi di questa crisi non si limita a una diagnosi cupa, ma indica anche delle possibili vie d'uscita, sottolineando che le soluzioni tampone non sono più sufficienti. È necessario un cambiamento strutturale, articolato su due livelli.
• Azioni Urgenti
La prima necessità è un'azione internazionale coordinata per l'alleggerimento del debito, che deve però coinvolgere tutti i creditori, non solo gli stati e le istituzioni internazionali ma anche gli attori privati come banche e fondi di investimento. Parallelamente, è cruciale non solo fermare il calo, ma aumentare significativamente l'Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS), migliorandone la qualità. Ciò significa evitare di concentrare gli aiuti solo sulle emergenze mediatiche, trascurando investimenti a lungo termine in settori cruciali come l'agricoltura sostenibile e la resilienza climatica.
• Riforme Profonde
A lungo termine, la soluzione risiede in una riforma delle regole del sistema finanziario globale per renderlo più equo. Ciò include misure concrete come quelle proposte da agenzie come l'UNCTAD (l'organismo ONU per il commercio e lo sviluppo) per contrastare l'elusione fiscale delle grandi multinazionali, attraverso iniziative come il cosiddetto "compromesso di Siviglia" (vedi nota). È inoltre fondamentale rafforzare il multilateralismo e le istituzioni come le Nazioni Unite, dotandole delle risorse e del mandato politico necessari per affrontare le sfide globali.
Altrimenti si rischia di continuare a mettere solo delle pezze temporanee senza risolvere il problema alla radice.
Una domanda per il Futuro
Il messaggio chiave che emerge da questa analisi è la profonda interconnessione di tutti questi problemi. La crisi del debito, il calo degli aiuti e le difficoltà delle istituzioni internazionali non sono crisi separate, ma sintomi di un sistema globale che, nella sua architettura attuale, genera e perpetua disuguaglianze. Queste disuguaglianze hanno impatti reali e drammatici sulla vita di miliardi di persone.
Per questo motivo, la necessità di un cambiamento sistemico, e non solo di interventi tampone, è così urgente. Questo ci lascia con una domanda fondamentale che va oltre le soluzioni tecniche. Al di là della ristrutturazione del debito o della trasparenza fiscale, cosa significherebbe davvero, nella pratica quotidiana delle relazioni economiche globali, costruire un sistema finanziario più equo e vantaggioso per tutti, e non solo per alcuni?
È su questa riflessione che si gioca il futuro di gran parte del nostro mondo.
Compromesso di Siviglia: (Compromiso de Sevilla) è il documento finale adottato dalla Quarta Conferenza Internazionale sul Finanziamento allo Sviluppo (FfD4) delle Nazioni Unite, tenutasi a Siviglia (Spagna) tra il 30 giugno e il 3 luglio 2025.
Non si tratta di un accordo legale vincolante, ma di un'importante dichiarazione politica globale che mira a ristrutturare il sistema finanziario internazionale per sostenere il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) entro il 2030.




Commenti